Tassa sui miliardari, quella che ora non c’è. Nel mondo, calcolano gli economisti, più sei ricco e meno paghi al fisco. Parte da queste analisi, supportate da numeri e grafici, la proposta che sta portando avanti il G20 a presidenza Brasile. Questo Paese, dopo aver inserito il tema nell’agenda del summit, ha ottenuto l’appoggio della Francia, altro membro di peso dell’organizzazione internazionale. Tanto che i due presidenti, Luiz Inácio Lula da Silva ed Emmanuel Macron, potrebbero incaricare i loro sherpa di mediare perché la tassa sui miliardari trovi uno spazio nel comunicato del vertice dei venti Grandi a Rio de Janeiro, il 15 e 16 novembre prossimi.

Tutto parte dal rapporto del giovane economista francese Gabriel Zucman, docente a Berkeley e a Parigi. Lo ha pubblicato lo scorso 25 giugno proprio su mandato del governo brasiliano. Zucman, che da tempo si occupa del tema della tassazione sui grandi ricchi anche con l’appoggio di Oxfam, si muove da un dato ormai noto, ma spesso dimenticato: le persone che dispongono di enormi patrimoni, i 3mila individui che hanno ricchezze personali superiori al miliardo di dollari, pagano in proporzione meno tasse sui redditi rispetto ai cittadini “normali”. Per come sono costruiti i sistemi fiscali dei Paesi esaminati – tutte le principali economie occidentali – le tasse sui redditi sono progressive per la grande maggioranza della popolazione, ma poi precipitano negli ultimissimi “percentili” dei contribuenti, quelli in cui si trovano le persone più ricche di tutte. In Italia, per esempio, il sistema fiscale secondo i calcoli di Zucman inizia a diventare regressivo per il 5% più ricco della popolazione e diventa ultra-vantaggioso per i (pochi) contribuenti miliardari.

Questo accade perché i ricchi hanno diverse possibilità, tutte lecite, beninteso, per ridurre il proprio carico fiscale. «La situazione degli ultra-ricchi – viene sintetizzato nel Rapporto – è diversa da quella dei lavoratori dipendenti, perché i redditi dei miliardari non derivano da “stipendi”, ma dalle ricchezze che controllano, più precisamente dalle quote e dalle azioni delle imprese che controllano. Per trasformare in reddito personale queste ricchezze, dovrebbero fare distribuire dividendi alle imprese e quindi pagare le tasse sui profitti finanziari (in Italia è al 26%). Ma hanno soluzioni più convenienti per schivare gli occhi del fisco».

«Una di queste è usare titoli e azioni come garanzia per farsi prestare denaro dalle banche e quindi utilizzare questi prestiti per comprare beni e servizi o anche fare investimenti. In questo modo possono ottenere denaro esentasse il cui unico costo è l’interesse da pagare alla banca».

Zucman propone perciò al G20 di fissare al 2% del patrimonio la quantità minima di tassa sui redditi che i circa 3mila miliardari del pianeta devono versare al fisco ogni anno. Non sarebbe quindi una tassa aggiuntiva: chi già paga imposte per una cifra pari al 2% del suo patrimonio non dovrebbe sborsare un euro o un dollaro in più. «Tecnicamente, l’imposta minima qui proposta è quella nota come imposta presunta sul reddito – spiega l’economista –. L’idea è che per un miliardario che dichiara un reddito imponibile basso, e di conseguenza paga poche tasse sul reddito, si deve presumere che abbia un reddito che il sistema fiscale non riesce a catturare».

Il gettito fiscale stimato, calcola Zucman, sarebbe tra i 200 e i 250 miliardi di dollari all’anno. Allargare questa tassazione minima anche a chi ha patrimoni inferiori al miliardo ma superiori ai 100 milioni di dollari porterebbe tra i 105 e i 135 miliardi di dollari aggiuntivi.

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